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Vulnerabilità ed emozioni

Aggiornamento: 11 ott 2021


È un fatto: amo Brené Brown da quando è entrata nella mia vita. Amo il suo modo di scrivere e comunicare, amo l'umanità meravigliosa che infonde.


Il suo libro I doni dell'imperfezione mi colpisce e mi cattura.


Senza esagerare posso dire che mi commuove e mi fa sentire sollevato.


Non è solo il messaggio del libro ad appassionarmi, ma l'approccio scientifico che lo sostiene: saper abitare l'universo della propria vulnerabilità, riconciliarsi con la propria parte più intima, essere se stessi e non ciò che si pensa di dover essere non sono mantra new age nel libro di Brené, ma il risultato di anni di ricerche tese a capire cosa accomuna le persone capaci di vivere una vita piena, "incondizionata".


In un mondo del successo ad ogni costo e della forza a prescindere, in cui tutto ciò che è debole o imperfetto va cancellato o nascosto, vivono un'esistenza piena solo coloro che hanno il coraggio di essere imperfetti, che si amano per come sono e proprio per questo riescono ad amare gli altri e ad entrare in connessione, offrendo il dono della propria autenticità.


In un mondo che valuta la vita in base al successo, vivono un'esistenza piena solo coloro che accettano l'insuccesso come parte del gioco e non per questo smettono di darsi e provare. Solo coloro che accettano la loro invulnerabile vulnerabilità.


Che rapporto c'è tra emozioni e vulnerabilità?


Rispondere a questa domanda facendoci interpreti del sentire comune è semplice e praticamente automatico.


Le emozioni rendono vulnerabili: lo sappiamo, ce lo insegnano da sempre, lo abbiamo assimilato in modo inconsapevole, ricavandone classificazioni e convinzioni implicite.


Perchè per anni abbiamo chiamato le donne il "sesso debole"? Per via di questo dogma acquisito: le donne più degli uomini sono influenzate dalle emozioni, le emozioni sono sinonimo di debolezza perchè rendono vulnerabili, quindi il loro sesso è debole; il gioco è fatto.


Non è un caso che questa definizione sia profondamente contestata oggi in cui il mito della forza si è diffuso trasversalmente nella società.


Il guaio è che siamo stati per anni accecati da una bufala.


Sì, perchè le emozioni sono patrimonio genetico universale di cui l'evoluzione ci ha dotato per aiutarci a sopravvivere contro ogni avversità e rischio di estinzione: non sono quindi causa di vulnerabilità, ma strumento per essere non-vulnerabili (invulnerabili, appunto).


Certo, potremmo dire che questo discorso fila se pensiamo all'origine della specie, ma che nello scenario attuale esso decade poichè non dobbiamo più combattere per sopravvivere (almeno nella gran parte del mondo).


E' vero: oggi l'obiettivo non è la sopravvivenza, siamo andati molto oltre; oggi cerchiamo il benessere (mi piace chiamarlo ben-essere, trovo affinità con le riflessioni di Brenè Brown).


Quello che perdiamo di vista è che anche in questa nuova fase della nostra evoluzione il risultato non cambia, perchè le emozioni continuano a svolgere la loro millenaria funzione: sono lo strumento di protezione, il segnale di allerta che ci aiuta a preservare e ad aumentare il nostro benessere.


Noi questa grande verità la ignoriamo, la dimentichiamo troppo spesso e cosa facciamo invece? Convinti che le emozioni ci rendano deboli, siano fonte di mal-essere, le scansiamo, cerchiamo di ignorarle.


Questo atto di rimozione è uno sforzo tanto grande quanto inutile: scansare un'emozione, sopprimerla - consapevolmente o inconsapevolmente - non significa non provarla; l'emozione non è volontaria, non scatta a comando, scatta naturalmente.


L'emozione semplicemente c'è, esiste, fa parte del corredo genetico che ci ha donato la natura, non possiamo spegnere l'interruttore.


Non accettare questo dono - questo grande dono della nostra imperfezione - ci mette in una situazione di svantaggio; l'emozione scatta e ci attraversa, ma poichè la ignoriamo, si muove in noi senza controllo provocando comunque una reazione.


Per la legge delle probabilità la reazione istintiva può essere corretta e utile quanto scorretta e fuori luogo.


Questo è il grande nodo, ciò che ci rende deboli: non l'emozione in sè che è un messaggio della nostra parte più intima e profonda, ma l'incapacità di interrogarla, di spezzare quell'automatismo, quella roulette russa legata all'efficacia della reazione.


Non sono le emozioni a renderci vulnerabili, ma il non usarle.



Sviluppiamo la nostra invulnerabile vulnerabilità quando al posto di fuggire le nostre emozioni andiamo loro incontro senza rifiutarle.


Diventiamo invulnerabilmente vulnerabili quando le ascoltiamo, semplicemente, senza etichettarle in positive o negative, cercando di capire cosa ci dicono, cosa raccontano di noi, del nostro essere, del nostro percepire.


Espandiamo le nostre possibilità quando, dopo averle ascoltate, andiamo oltre e portiamo l'attenzione alla nostra reazione alle emozioni, ai comportamenti che agiamo, questi sì positivi o negativi a seconda che aumentino o riducano il nostro ben-essere.


Vogliamo usare i doni della nostra imperfezione?


A partire da domani, quando incontreremo un'emozione sul nostro cammino non affrettiamo il passo cercando di seminarla, ma rallentiamo e guardiamola in faccia. Cerchiamo di conoscerla, cerchiamo di riconoscerla, di rintracciare i pensieri che ci attraversano la mente, di comprendere come reagiamo.


L'incontro profondo con le nostre emozioni ci renderà più forti.


Non è un mantra new age, l'ho provato sulla mia pelle: quando ho finalmente accolto le mie emozioni, quando ho dato loro il benvenuto smettendo di ignorarle e mi sono posto domande sui miei pensieri e sui miei comportamenti ho spiccato finalmente il volo...

























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